di Andrea Bajani, 21 marzo 2016, la
Repubblica
Giorno dopo
giorno, l'uomo costruisce recinti perché gli altri uomini ci possano pascolare
dentro al sicuro, e la chiama società. I poeti scavalcano la staccionata, e poi seminano il panico tra gli altri
mammiferi che vi si aggirano mansueti. E quando se ne vanno, l'inquietudine
corre dentro il corpo di chi resta come un sangue avvelenato che metterà le
vene a ferro e fuoco. Nei romanzi di Roberto Bolaño i poeti sono individui pericolosi. Mettono a soqquadro le città,
fanno sbiancare i cittadini di spavento. I poeti di Bolaño sono avventurieri,
criminali, spacconi, teppisti.
Sono
fuorilegge. Le città sono destabilizzate dai poeti, nei romanzi di Bolaño.
Perché hanno occhi che fanno spavento. Tra le pagine de I detective selvaggi si
muovono torme di sbandati. Auxilio Lacouture, la "madre della poesia
messicana", Arturo Belano, Ernesto San Epifanio, León Felipe. Quello che
si sente, a ogni pagina, è il tremito di un'epoca, prima ancora che di una
città. Città del Messico si chiude dentro casa, perché oltre le finestre ci
sono loro. E dai poeti non c'è da
aspettarsi molto di buono. In Stella distante, forse il più lancinante tra
i libri dello scrittore cileno, c'è un poeta, Carlos Wieder, che ritiene una
forma d'arte suprema la tortura. E in Notturno cileno (appena tornato in
libreria nella nuova traduzione di Ilide Carmignani), è un giovane poeta quello
che il critico letterario Sebastián Urrutia Lacroix, si trova sulla soglia e
che rovescia la sua vita «in una sola notte fulminea»: «all'improvviso si è
presentato alla porta di casa mia e senza la minima provocazione e del tutto
inopinatamente mi ha coperto di insulti». Il critico letterario non vuole lo
scontro («Questo sia chiaro. Io non cerco lo scontro. Sono un uomo ragionevole.
Sono sempre stato un uomo ragionevole»). Il poeta butta giù la staccionata
della ragionevolezza, che è la ragione quando diventa un estintore per spegnere
gli incendi.
Tra le tante
intuizioni di Bolaño, quella del poeta
come soggetto eversivo è la più devastante, brucia ancora tra le pagine di
Amuleto, di 2066, di Puttane assassine. Lungi dall'idea a perdere di un poeta
come soggetto residuale e tutto sommato (reso) inoffensivo, i poeti di Bolaño non
hanno paura di morire perché non cercano
il consenso della Storia. Bolaño iniziò come poeta e si considerò sempre
tale, e in una delle sue poesie, Sucio, mal vestido (Sporco, malvestito) parla
delle strade che prendono i cani, «allí donde no quiere ir nadie», dove nessuno
vuole andare. È «un camino que sólo recorren los poetas / cuando yo no les
queda nada por hacer». Ci vanno solo i poeti, quando non gli resta nient'altro.
I poeti non obbediscono alle indicazioni tracciate dalla Storia, ovvero la forma
più violenta di ragionevolezza. La Storia, sembra dire Bolaño, è la ragione
quando diventa un paio di manette per assicurare dietro la schiena i polsi
della fantasia.
La poesia,
d'altra parte, dice il Nobel Iosif Brodskij in Conversazioni (da poco in libreria
nella traduzione di Matteo Campagnoli per Adelphi), «è una sorta di deviazione
dal solito modo obbediente di pensare». Brodskij fu deportato per la stessa
ragione per cui scrisse poesie: «chiunque si dia da fare per creare dentro di
sé un proprio mondo indipendente, è destinato prima o poi a diventare un corpo
estraneo nella società e a essere soggetto a tutte le leggi fisiche della
pressione, della compressione e dell'estrusione». La Storia mette in sicurezza
l'uomo, il poeta batte altri sentieri, apre
crepe nelle mappe. Per quei sentieri incontra i cani, ma anche gli uomini e
le donne che si sono persi o che hanno provato ad avventurarsi in quelle stesse
lande. Hanno versi da condividere, con cui nutrirsi dentro il bosco: «Le
persone interessate alla poesia — scrive Brodskij — cercano semplicemente di
soddisfare i propri bisogni o i propri interessi, diciamo, con mezzi che non
sono forniti dallo Stato». E lo Stato, il braccio organizzato della Storia,
oppone la sua ragionevolezza. Osip Mandel'stam fu arrestato e ucciso per i suoi
versi. Quello che fa paura non è l'aver battezzato Stalin «il montanaro del Cremlino».
È l'aver scritto in un verso feroce e bellissimo che «ogni morte è una fragola
per la bocca» del dittatore georgiano. La ferocia e il candore sono le armi dei
poeti.
In un'epoca
come questa in cui lo storytelling è diventato sinonimo di persuasione, una
branca cioè della comunicazione e della politica, la poesia non può che tornare
a essere il nostro bene più prezioso e la nostra arma più efficace per
difenderci dalla ragionevolezza della Storia. Per sfondare il recinto di
narrazioni contrapposte. L'Europa, l'Is, la sicurezza, la famiglia. In un
momento come questo in cui prevale l'emergenza, l'urgenza cioè di una risposta
a domande che nessuno ha mai formulato, la poesia è il mezzo che abbiamo per
tornare a destabilizzare ponendo domande. È l'epoca delle risposte, questa che
viviamo, e siamo pieni di domande soffocate dentro il petto. Non c'è niente di
più urgente di una domanda ingenua, scriveva Wislawa Zsymborska. La domanda che
chiede la ragione del fuoco, e non un idrante che lo soffochi. I poeti di
Roberto Bolaño si aggirano per l'America Latina diffondendo inquietudini per le
armi che hanno. Sono dei brutti sogni, ma, come scrive Cees Nooteboom in
Tumbas. Tombe di poeti e pensatori (Iperborea, traduzione di Fulvio Ferrari), «gli esseri umani non possono vivere senza
sogni pericolosi e sorprendenti». I "realvisceralisti" di Bolaño
in tasca non hanno pistole ma versi, e tanto basta per seminare il panico.
Perché questo significa che hanno le tasche piene di punti interrogativi, che
sono le munizioni più insidiose per la ragionevolezza della Storia. Il punto
interrogativo, quel segno di interpunzione che, come scrive Alberto Manguel in
Storia naturale della curiosità (Feltrinelli, traduzione di Stefano Valenti), è
la «visibile rappresentazione della nostra curiosità», e sta incollato al fondo
di una frase a «sfidare il dogmatico orgoglio». Sono le domande scomode dei
bambini, che chiedono al "perché?" di essere un gettone che fa
partire la giostra delle cose, e che le risposte non soddisfano. I bambini non
conoscono lo storytelling perché spesso non arrivano alla fine di una frase, ma
dentro quella frase disarticolano il mondo, e lo rimontano come non l'avevamo
mai visto. Sono bambini, in fondo, i temibili poeti di cui parla Bolaño. E i
bambini non conoscono la ragionevolezza della storia, che è una risposta
pratica a cui oggi non crede più nessuno. Il risultato sono scatoloni di punti
interrogativi messi in cantina tra le cose vecchie, che prima o poi una perdita
d'acqua annegherà, e che in pochi si ricordano di avere messo via. La Storia
offre, in nome della sicurezza, recinti in cui nessuno vuole più entrare.
Mentre la poesia, scrive Brodskij, è «la
miglior scuola di insicurezza che ci sia». È per questo, che,
nell'insicurezza che ci strangola, la poesia offre la sua mano, perché, come
continua il poeta, «quello che dicono le
poesie, in sostanza, è: non lo so».
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