sabato 8 marzo 2014

For presto


Nonostante il gran caldo avevo deciso di passare la domenica in casa. Si erano accumulati nel corso della settimana diversi ritagli di giornali che mi ripromettevo di leggere con tranquillità. Articoli che immaginavo interessanti, in larga parte provenienti dai supplementi letterari dei quotidiani che, dopo la prima occhiata, di solito commento con un: "bello, questo lo leggerò con calma". Accesi la ventola ed estrassi dal mucchio un foglio a caso: "Il cavallo di Torino, ultimo film di Bela Tarr: quando Nietzsche singhiozzò".
Suonarono al cancello. Sarà Matteo, pensai, un bravo ragazzo senegalese che passa tutte le domeniche, anche se in genere più tardi, al quale do sempre due euro. Mi affacciai alla finestra: era Tom Cruise. Io ero ancora in pigiama.
Mi chiedeva gentilmente di scendere, sostenendo la richiesta con dei gesti e indicando la mia automobile parcheggiata, o forse lo specchietto, che in effetti era leggermente spostato, ma non riuscivo a capire bene. Ero in dubbio se aprire subito il cancello perché non girano belle voci riguardo a quelli di Scientology. E poi non mi andava di scendere in pigiama. Per la verità anche lui non era conciato benissimo, seppure pareva trattarsi di un "non conciato benissimo" molto griffato. Non so, non me ne intendo molto, ma la percezione era quella.
Fui tentato di dirgli "non importa, vada pure, ci penso io, non si preoccupi...", ma lui insisteva parecchio continuando a parlare , a gesticolare, mentre io seguitavo a non capire. Mi dispiaceva sembrare scortese, e comunque se fossi rimasto alla finestra non ne saremmo usciti, allora gli dissi di attendere un momento; mi cambiai in fretta, senza aprire il cancello, poi scesi.

Quando mi vide comparire sulla porta sorrise ed allargò le braccia come per accogliermi. Con una buona padronanza della lingua italiana, migliore di quanto non sia la mia della sua lingua, mi spiegò, scusandosi in continuazione, che aveva accidentalmente urtato lo specchietto della macchina parcheggiata mentre guidava guardando la cartina. "Io credo perso", concluse.
Mentre lo raggiungevo al cancello, notai delle lucine che lampeggiavano sulla punta delle sue scarpe da running quando muoveva i piedi; per qualche istante, incuriosito, gli guardai alternativamente il viso e le scarpe, pennellando verticalmente la sua figura. Lui, ampliando il sorriso, disse sospettoso: "C'è qualcosa che no good?". Io gli dissi che andava tutto bene, di stare tranquillo e di non preoccuparsi per lo specchietto, si trattava solo di un graffio: "se giri qui in fondo a sinistra e poi a destra", continuai, "vedrai la Cremeria Italia sull'angolo, dritto fino al semaforo e poi a destra imbocchi la tangenziale". Non avevo idea di dove dovesse andare, ma pensai potesse essergli utile almeno uscire dal quartiere. Ci presentammo. Dissi "ciao, sono Ezio"; lui mi porse la mano dicendo "ciao, Tom".
"Grazie", aggiunse, "molto grazie Esio" mentre dispiegava la cartina e poi la richiudeva, quindi la riapriva girandola più volte ed indicando dei luoghi a casaccio. Aveva le unghie molto curate, perfette direi, le dita e i dorsi delle mani erano completamente privi di peluria. Non sembrava una cartina aggiornata, anzi, secondo me era molto vecchia, del tipo di quelle che si trovano all'associazione di recupero e riciclo Mandacarù. Mi parve di capire che volesse fare un giro, avere delle informazioni per visitare dei luoghi, insomma andare da qualche parte, non so, ma certo è che la cosa iniziava a pesarmi. E poi, a dire il vero, io non conosco molti posti. Sì, qui abbiamo i laghi, le valli, Santa Giulia, il Capitolium, eccetera, ma ci sono andato raramente, non giro molto, non mi piace. Mi guardava aspettando una risposta. A che cosa?
"Quando tu vuoi, scusa noi go", disse gentile, ma perentorio, avvolgendosi i fianchi con la cartina come fosse una gonna. Ma dove, santo cielo, andare dove?, perché?
Mi arresi; non saprei dire a che cosa, ma mi arresi lasciandomi assorbire da quella situazione indefinita e sospesa senza opporre altra resistenza e senza sapere dove mi avrebbe portato, ma, soprattutto, senza sapere dove l'avrei portato.

La prima e unica cosa che mi venne in mente fu quella più stupida e banale, tant'è che a ripensarci mi vergogno ancora: portarlo a Ghedi a veder partire o arrivare gli aerei del Sesto Stormo, i cosiddetti Diavoli Rossi. E' un nesso idiota, lo so, un'idea quasi offensiva, ma non me ne vennero altre. Mio padre mi ci portava quando ero piccolo. A volte si passavano interi pomeriggi immersi in un'afa solida e appiccicosa senza vedere volare nient'altro che insettacci. Altre volte andava meglio. Si poteva scorgere la pattuglia da lontano, mentre lasciava gli hangar. Poi queste figure cupe e tremolanti nella calura si disponevano a fondo pista, spingendo al massimo il reattore. "E' un test", diceva mio padre abbassandosi un po', "per vedere se è tutto a posto. Lo chiamano l'urlo del contribuente". Poco dopo ci passavano sopra le teste uno ad uno in un enorme frastuono. In quegli istanti cercavo sempre la sua mano. Quando tornavamo alla macchina per fare rientro a casa, le prime parole che ci scambiavamo non si capivano mai bene. Alcune notti sognavo le facce dei piloti che guardavano giù, verso di noi.
Comunque c'è da dire che anche Kafka venne a Brescia a vedere gli aeroplani, anche se non quelli militari e quindi, tutto sommato, non sarebbe apparso un invito offensivo, ma non lo feci.
Mentre pensavo di astenermi dal proporgli Ghedi, i led delle sue scarpe emettevano una luce via via sempre più fioca. Messo male, mi venne da pensare: si è perso in via Beniamino Simoni, zona Ponte Crotte in Brescia, ha una cartina di trent'anni fa e sta pure finendo la pila nelle scarpe.
Incrociammo di nuovo i nostri sguardi; il suo sembrava offrire un'immagine di malcelata tristezza. In realtà non credo fosse triste, non ce n'era alcun motivo, tuttavia quel suo viso da bambolo conteneva un po' di malinconia, questo era innegabile. Non so, forse il mio perdurante stato di indecisione sul da farsi l'aveva intristito, ma non penso. D'altronde io non mi sentivo indeciso; non sapevo quale decisione dovessi prendere, è diverso.
Mi disse: "Look Isio, possibile lavare car?". Si dilungò in alcuni dettagli, ma nonostante il suo buon italiano non riuscii a comprenderlo. Faceva dei giri di parole inconcludenti mentre si sforzava di trovare le parole giuste. Comunque dissi sì, d'accordo, che altro potevo dire se non ok, salgo un attimo a spegnere la ventola e ti accompagno. Gli chiesi se desiderava salire a darsi una sciacquata, bere qualcosa o andare in bagno. Aspettai la risposta con ansia mentre immaginavo la condizione del mio bagno, ma disse "no, grazie, poco fretta, stress...". Bene, pensai, io non poco fretta, ma mi sentivo già esausto.

Pensai di portarlo al lavaggio della Rinascente, dove per sei euro fanno un buon lavoro. Lungo la strada gli avrei mostrato il fiume Mella, le storiche e fatiscenti fornaci di Ponte Crotte, un po' di campagna e la Ori Martin, l'acciaieria dentro la città. Poi la Rinascente, però senza entrarci perché sinceramente non avevo voglia di dedicare tutta la domenica a questa cosa. Sulla tangenziale Montelungo, ad un certo punto, un coniglio ci attraversò la strada. "Rabbit!" dissi con sicurezza. Lui rispose: "Yes, bunny, very fast". Al lavaggio, per fortuna, c'erano poche macchine in coda. Decisi che avrei pagato io. Lui cercò di fermarmi, insistette, io pure, inscenammo le solite moine di circostanza poi disse: "Ensio, molto grazie". Bene; il solo pensare che di lì a poco le due ruote anteriori sarebbero state intercettate e l'automobile trascinata dentro la postazione di lavaggio, mi permetteva di intravedere una fine e mi dava una certa serenità. A volte basta poco.
L'addetto al prelavaggio mi diede il resto, si abbassò un poco per sbirciare nell'abitacolo come se fossimo in dogana, ci guardò e annuendo sorrise. Io dissi a Tom: "tira su il coso altrimenti entra l'acqua".
Quando i vetri furono pieni di schiuma e prima dell'avvio dei rulli, le sue scarpe si spensero completamente. Lui non ci fece caso e mi disse: "Dopo bello, io vado noze in Fraciacorta, guardiamo cartina".
Bello, molto bene, risposi, intuendo il suo progetto. Per un attimo pensai di aggiungere "tu guardare anche  cantina in Franciacorta", ma rinunciai. I rulli occuparono tutto il parabrezza e i finestrini laterali mentre dentro si fece una luce blu. Lui continuava a fare cenno di sì con la testa. Era rilassato, contento.
Mentre le goccioline d'acqua si disperdevano velocemente sul vetro soffiate dall'asciugatore, mi disse: "Isio, senti,vuuu..., molto rumore, come Orli Matin... perché in città?". Strinsi le labbra guadagnando del tempo, poi per fortuna uscimmo dal tunnel. Si avvicinarono in due per  perfezionare l'asciugatura con dei panni. Preparai due euro e li consegnai ad uno dei due tipi, il quale ringraziò. L'altro, guardandoci, disse sgarbatamente: "il cofano era già rigato, non siamo stati noi". Quando mi vide dare la mancia Tom disse: "No Isio, faccia io". Fu solo allora, nel dirgli "non importa, lascia stare" che vidi un abito penzolare sui sedili posteriori. Il cellofan che lo ricopriva era costellato di goccioline luminose. Un'etichetta di carta si stagliava sul nero della giacca. Portava la scritta: "For presto. Mister Tom Cruise".
Scese dalla macchina e ci girò tutto intorno. Si fermò davanti al cofano e mi guardò soddisfatto, sorridendo. Dalla sua portiera aperta entrò un po' d'aria e fece muovere il cellofan che emise un soffio breve e delicato, come se sul sedile posteriore qualcuno stesse sbuffando.

Mi riaccompagnò a casa. La signora Franca stava bagnando il vialetto. Quando ci vide scendere, mi disse: "E' passato Matteo, forse torna dopo". Tom disse: "Buongiorno signora" e poi rivolgendosi a me "Matteo, molto bello nome".
Con un evidenziatore giallo tracciai sulla cartina il tragitto per arrivare sino ad Erbusco; quella, difatti, avevo scoperto essere la sua destinazione, perchè durante il rientro mi aveva detto: "Non bene dopo Elsio, guardiamo cartina paise come Etrusco".
Mi assicurai che avesse ben compreso il percorso e per un attimo ebbi il timore che potesse chiedermi di accompagnarlo alla festa di nozze. Lo invitai nuovamente a salire per  prendere qualcosa prima di ripartire. Disse: "grazie che no, solo molto ringraziare, Esio tu molto amico, io very... non so, molto grazie."

Mentre prese posto alla guida, forse per un riflesso, dal buio della pedaliera uno dei led della scarpa destra emise una debole luce. Gli feci ciao più volte con la mano, lui ricambiò con un largo sorriso poi partì. Il vestito dietro riprese a dondolare. Lo seguii con lo sguardo fino in fondo alla via. Lo stop di destra era fuori uso.