Il sogno
nel quale inciampo da un po’ di tempo a questa parte, consiste nel vedermi
maldestramente aggrappato ad un trapezio, vittima di un’altezza vertiginosa.
Facile preda di disordinate e violente oscillazioni, percepisco che il senso
del vuoto mi attanaglia prima le gambe e poi, via via, tutto il corpo, sino a produrre
lancinanti trafitture. Per uscire da questo doloroso incubo, mi devo produrre
in spericolate acrobazie che rivelano una insospettata stoffa da esperto
circense. Tutto qui.
Poi mi
sveglio e dopo un’ora sono all’ufficio postale. Dopo trenta minuti di coda e
venticinque davanti allo sportello, è ancora vana la speranza di vedere
terminata quella che l’operatore descrive come “una complessa operazione”.
Il suo modo di procedere, mentre tenta di affrontare “il problema”, mi fa ripensare alle acrobazie eseguite nell’incubo come
ad esercizi dei più elementari. Qui, davanti a questo sportello,
l’annichilimento della psiche è decisamente maggiore perché patito in uno stato
vigile e cosciente. E per di più, dura il doppio.
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